a cura di Adriana Aronadio
La carezza (stroke) è uno dei concetti più affascinanti, ma allo stesso tempo semplici ed efficaci, dell’Analisi Transazionale, un approccio alla comprensione degli esseri umani, fondato dallo psichiatra canadese Eric Berne negli anni ’50; l’idea originale di Berne fu quella di contraddistinguere la carezza come l’unità di riconoscimento sociale. Prima di passare ad esporre le idee e i tipi di bisogni individuati ed elaborati da Berne e dagli altri autori dell’Analisi Transazionale, farò un piccolo richiamo agli studi che dimostrano l’importanza delle carezze e del relativo scambio affettivo.
Fin dalla nascita, uno dei bisogni fondamentali del cucciolo d’uomo è il contatto, l’intimità fisica e la manipolazione. Questi stimoli, al pari della necessità del cibo, sono essenziali per uno sviluppo sano. Numerose sono le ricerche che hanno esaminato come la deprivazione sensoriale, sia nei bambini che negli adulti, provoca danni anche irreparabili. Renè Spitz, psicoanalista di origine austriaca, dimostrava per primo che i neonati, se privati a lungo di stimolazioni fisiche, possono sviluppare forme psicopatologiche che, in casi estremi, arrivano fino alla morte.
L’autore osservava che bambini, ospedalizzati oppure orfani, anche se ben nutriti, tenuti al caldo e puliti, sviluppavano problemi fisici ed emotivi in misura significativamente più alta del gruppo di controllo composto da bambini allevati dalle loro madri o da altri che si prendessero cura di loro con sollecitazioni tattili e sensoriali. I bambini del primo gruppo spesso venivano lasciati soli e soffrivano della mancanza delle carezze, del contatto fisico e delle coccole che normalmente i neonati ricevono dalle loro madri. I disturbi evolutivi, che avevano origine da una tale deprivazione, potevano spingersi fino ad una forma di patologia che Spitz denominava depressione anaclitica (sindrome dell’abbandono), per la quale il bambino poteva lasciarsi andare e deperire finanche alla morte.
Del resto, il bisogno di stimolazioni fisiche non contraddistingue solo l’essere umano, ma anche gli altri animali; Harlow, difatti, dimostrava che costringere un neonato di scimmia all’isolamento significa decretarne la morte psicologica. Egli verificava che piccoli di scimmie, separati dalla madre, anche se nutriti artificialmente, avevano bisogno del contatto di una madre - calda e morbida - per crescere sani [4]. Le scimmie deprivate di contatto sociale dalla nascita, crescendo, si dimostravano aggressive e con gravi sintomi di disadattamento.
Eric Berne scelse il termine carezza, come l’unità di riconoscimento sociale, proprio per rievocare questo bisogno di contatto fisico degli infanti.
Con “carezza” si indica generalmente l’intimo contatto fisico; nella pratica il contatto può assumere forme diverse. C’è chi accarezza il bambino, chi lo bacia, gli dà un buffetto o un pizzicotto. […] Per estensione, con la parola “carezza” si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un’altra persona.
Da grandi, come sostiene l’autore, aneliamo ancora ad un contatto fisico ed anche se impariamo a sostituirlo con forme simboliche di riconoscimento, ci sentiamo deprivati se non riceviamo le carezze di cui abbiamo bisogno.
Da adulti le carezze, verbali e non verbali, con le quali riusciamo ad appagare il nostro bisogno di essere toccati e riconosciuti, possono essere rappresentate anche da dei complimenti, un sorriso, una stretta di mano, un’occhiata benevola etc. Tuttavia non esistono solo le carezze positive, ma esse possono essere anche negative ed esperite come spiacevoli, esempi sono le critiche, le umiliazioni, gli insulti, le frasi sarcastiche etc.
Può sembrare assurdo, ma un principio fondamentale che anima il comportamento degli esseri umani è che: qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza, ovvero il nostro bisogno di essere accarezzati è così importante che se non riceviamo sufficienti carezze positive, faremo in modo di avere almeno quelle negative.
Nella tipologia delle carezze, si distinguono anche le carezze condizionate, da quelle incondizionate. Le prime si riferiscono a ciò che la persona ha fatto nel concreto, ad esempio: un complimento per un lavoro eseguito o, se negative, una critica su un particolare errore commesso; le seconde, invece, si riferiscono a ciò che la persona è, esempi sono: in positivo, affermazioni come: “Ti voglio bene” (perché sei tu), “E’ bello averti qui”; in negativo “Non ti sopporto!”, “Sei un incapace”. Si può osservare che nell’educazione dei figli, ma non solo, le carezze incondizionate positive contengono il messaggio “Tu sei OK”, donano una piacevole sensazione di benessere e favoriscono una crescita autonoma, al contrario, quelle incondizionate negative sono distruttive ed assolutamente inutili. Tornando ancora alle carezze condizionate, è utile considerare che, se sapientemente utilizzate, sono un utile strumento per insegnare comportamenti adeguati poiché agiscono come un rinforzo: quelle negative possono essere usate come critiche costruttive, che aiutano la persona a comprendere cosa c’è che non va nello specifico; quelle positive, invece, aiutano la persona a conoscere meglio le proprie capacità.
Non solo noi esseri umani ci accontentiamo delle carezze negative lì dove mancano quelle positive, ma in aggiunta a questo, fin da bambini impariamo ad utilizzare un filtro delle carezze, cioè preferiamo alcune carezze e ne svalutiamo altre in base alle nostre inclinazioni, ai modelli di apprendimento e alle nostre convinzioni personali, anche se questo può comportare una deprivazione dei nostri bisogni di riconoscimento.
Gli Analisti Transazionali aiutano le persone a scambiarsi carezze nell’intimità. Nell’intimità le carezze potranno essere sia positive che negative, tuttavia non sarà mai presente svalutazione, ma si attua uno scambio profondo e costruttivo verso una crescita personale. Accettare il rischio di una vera intimità significa dar luogo ad un incontro spontaneo ove le persone possono giungere liberamente ad un pieno contatto delle proprie potenzialità umane.
Dobbiamo interrogarci su quale tipo di vita vogliamo scegliere di vivere: una vita dettata dagli impedimenti di un copione limitante, o una vita piena di intimità e di carezze positive? Se abbiamo scelto la seconda alternativa, non ci resta altro che portare avanti la nostra scelta giorno dopo giorno, tenendo in considerazione che l’Analisi Transazionale, o altre forme di terapia psicologica, possono esserci d’aiuto. Congedandomi auspico al lettore e a me stessa il percorso più bello.