di Adriana Aronadio
Secondo questo mito, originariamente l'umanità era dunque distinta in tre generi: uomini, donne e androgini. Gli androgini erano creature per metà di un sesso e per metà dell'altro. Gli dei erano gelosi della loro felicità, e si sentivano minacciati. Zeus, non volendo distruggerli per non privare l'Olimpo dei loro sacrifici, separò ciascuno di loro in due metà, riducendoli a solo maschio e solo femmina. Le due metà, in preda alla nostalgia dell'Uno, si sforzarono…..
«[..] di fare, di due, uno, e di guarire la natura umana», poiché ciascuna metà riconosceva nell'altra il proprio «completamento».
Ciascuna metà cercava la sua metà mancante e, quando esse riuscivano a trovarsi, tentavano disperate di stringersi in un abbraccio amoroso, pur non riuscendovi affatto, visto che i loro organi genitali erano stati posti, crudelmente, ai lati dei loro corpi amputati.
Così, abbandonandosi sconsolate all'inazione, le metà separate morivano di fame, straziate dall'irreparabile perdita subita. Finché Zeus «mosso da pietà» escogitò un sistema più funzionale ai suoi scopi: spostò al centro gli organi genitali e permise in tal modo una congiunzione, seppur provvisoria, delle due metà disgiunte.
La nostalgia di quella interezza, mai placata, è la radice e, in qualche modo, la costrizione all'amore.
Alla base dell'amore vi è dunque il desiderio di ricostituire l'Uno originario, riconquistando la mitica interezza perduta.
Sono convinta però che sia già tutto dentro di noi e che, per sentirci completi, non abbiamo bisogno di uno specchio.
L'altra metà da trovare non è una donna, nè tantomeno un uomo. L’altra metà è sempre dentro di noi. L’altra parte di noi stessi, la parte sconosciuta alla quale dare vita, per poterci finalmente ritrovare per sempre.
Questa è la vera unione in grado di liberarci da quel sentimento di solitudine che avvertiamo anche quando stiamo con qualcuno. Allora, poi non vi è niente di più bello che condividere con una persona la propria vita, una vita viva. E’ la totalità che esalta. L’opera d’arte è già dentro di noi e non dobbiamo far altro che procurarci gli strumenti per liberarla. Chiunque non riesca a liberarla vive come un prigioniero e le storie d’amore non sono altro che l’ora d’aria del carcerato, la cosa più bella che gli possa capitare nella vita. Allora a quel punto va bene qualsiasi uomo o qualsiasi donna, non importa chi sia o come sia.
Ma un conto è se vuoi stare bene veramente, un conto è se vuoi solo stare meglio. Se decidi di stare semplicemente meglio, allora ti basta innamorarti ogni tanto, comprarti qualcosa, avere un aumento di stipendio. Arredare la cella.
Questo significa, però, sopravvivere sperando che spunti l’arcobaleno dopo la tempesta. Ma noi siamo fatti per godere del sole. Se continuiamo a chiudere le serrande, a sbarrare le finestre, ci dimenticheremo del suo splendore.
Inondiamo, invece, il nostro animo di luce e di calore. Michelangelo sosteneva che per liberare una statua imprigionata in un blocco di marmo, bastasse togliere il superfluo. Anche noi siamo così. L’opera d’arte è già dentro di noi e non dobbiamo far altro che procurarci gli strumenti per liberarla.
Fonte: “Un posto nel mondo” – Fabio Volo
La mia amica Anna Tarantino