Neozitelle qualificate, suore laiche del management, “partite Eva...”. Oggi le donne lavorano più degli uomini e per molte metter su famiglia sembra l’ultimo pensiero
di Elisabetta Muritti
Le Zitelle del Nuovo Millennio bussano alla porta. Invitate dalla mancession, la recessione economica che si somma alla perdita di posti di lavoro per tradizione occupati dai maschi. Accade pure in Italia, con le femmine arrivate, o ritornate, massicciamente sul mercato dell’occupazione, capaci di reinventarsi con una creatività che stupisce il mondo, e di sopperire alla mancanza di auspicate politiche di conciliazione. Ma con sempre meno voglia di sposarsi. Qualche dato: almeno l’8,4% delle nostre connazionali è diventata la prima fonte di reddito per la sua famiglia, più del 63% delle nuove imprese nate da noi sono tinte di rosa, tra 2007 e 2012 le manager sono cresciute del 24,5%. Le lavoratrici autonome italiane sono oggi il doppio delle tedesche, spesso qualificate, poco o nulla tutelate, in gamba, terrorizzate dai guadagni ballerini e dal fatto che gravidanze e famiglie sul groppone rosicchino guadagni, network professionali, sogni. Le chiamano le “partite Eva”. E c’è pure la “carica delle ragazze”, più dottamente detta la “femminilizzazione delle professioni liberali”: a parte il fatto che la forza lavoro laureata tricolore è già per il 25% composta da donne e per il 12% da uomini, c’è da metter in conto bravura e numero crescente di studentesse e fresche laureate in architettura (55% donne), medicina (64%), giurisprudenza (59%), per non dire della schiera di future manager, commercialiste, scienziate, ricercatrici e, sì, imprenditrici agricole. Su 100 ragazzi laureandi, ben 60 sono fanciulle.
Ecco perché, a ulteriore dimostrazione che la classe media sta in vari modi consumando il suo lento suicidio (in vista, magari, di una resurrezione sotto altre forme), la Carica delle Ragazze è destinata a diventare il Plotone delle Neozitelle. Nubili colte, sane e benestanti, ci si augura piene di fidanzati, amanti e nipoti, ma senza marito e senza progenie (laureate il 19,5% delle donne senza figli, contro il 15% di quelle diventate mamme). Dicono: e chi glielo fa fare, di sposarsi? Sanno che una moglie europea lavora 64 ore (di cui 26 in casa) alla settimana, contro le 41 dei mariti (9 in casa). Hanno sotto gli occhi il panorama nazionale, la vita grama delle sorelle maggiori che, in piena crisi globale, si arrabattano per concilare ufficio e 36 ore settimanali “non retribuite” passate freneticamente tra bebè, organizzazione domestica e burocrazia quotidiana (contro le 14 ore dei coniugi). I quali coniugi, tra l’altro, non è detto che siano rimasti al palo: anzi, visti i tempi che corrono, più lui è “benestante”, più le ore di lavoro aumentano per entrambi. E se una volta l’avvocato, il notaio o il medico di famiglia erano abbienti signori con segretaria o infermiera che rispondeva al telefono, e signora a casa che provvedeva a tutto, ora sono trafelate e “povere” professioniste funambole che rispondono personalmente al cellulare, strattonate tra asilo, udienze, clienti, pazienti, madre con l’Alzheimer.
E con chi dovrebbero sposarsi? Se ha ragione Obama a preoccuparsi per la disuguaglianza sociale ed economica sempre più spiccata, cui contribuisce l’“assortative mating”, meglio noto come il matrimonio tra pari censo e pari istruzione, le ragazze-in-corsa dovrebbero fare a botte per i pochi “compatibili” rimasti su piazza. E non ci sono veri amori che proteggano da una vita a due sempre più stressante (paesi Ocse: la forbice tra le ore di lavoro dei lavoratori meglio e peggio retribuiti è aumentata e aumenterà ancora). Insomma, o sei ricca alla nascita - e allora chi te lo fa fare di lavorare come una pazza, tanto hai già un fidanzato ricco come te, l’hai conosciuto da bambino, e pensi di farci tanti figli, che ormai sono uno status-symbol da calcolare come i metri quadri a Portofino o Martha’s Vineyard - o sei povera alla nascita, magari sei una ragazza-madre senza neanche la licenza di scuola media superiore. E allora chi te lo fa fare di lavorare come una pazza? Tanto hai già un fidanzato da mantenere, l’hai conosciuto teenager, e presumibilmente avrai altri figli da mantenere...
Come dire che l’ascensore sociale si è bloccato non solo nelle questioni di busta paga, ma anche nelle faccende di cuore: l’infermiera non sposerà più il dottore, perché lei pensa di specializzarsi in farmacologia molecolare e lui non ha passato i test di ammissione alla laurea magistrale, la segretaria non sposerà più il commendatore, perché lei mira al management e lui si è estinto come i dinosauri.
E a proposito di management e vertici delle aziende, c’è chi ha coniato la definizione di “Suore Laiche del Potere”. All’estero le cose sono sedimentate: in Germania sono le single a raggiungere con più sprint la stanza dei bottoni (17%, contro un 13% di donne accasate), in Inghilterra le trentenni senza figli (19%) hanno dribblato le quarantenni che hanno fatto la stessa scelta (11%), in Giappone è del 49% la percentuale di ragazze (18-34 anni) che non ha o non vuole legami. Susanna Stefani, vicepresidente di Governance Consulting, racconta: «Mi occupo della composizione dei consigli di amministrazione. E di donne che i loro colleghi vedono come delle rompiballe preparatissime e sempre presenti, da non lasciarsi scappare: la Legge Golfo-Mosca sulle quote rosa ha innalzato il livello di qualificazione, con ricaduta anche sulla valutazione dei maschi. Detto questo, posso fare un’osservazione di base sulle giovani: hanno l’atteggiamento giusto verso la professione, per loro è un interesse prevalente e non accessorio. Una volta sarebbero state bollate come ambiziose». Oggi, invece? «Sono supportate da genitori spesso divorziati, consapevoli che un matrimonio è più precario di una carriera. Ecco che il loro fine non è più costruirsi una famiglia, partono già sapendo che il lavoro è il loro mondo di realizzazione. Rispetto alle manager che si affacciavano 7-8 anni fa, sanno che dovranno proporsi senza aspettare che qualcuno le proponga. Dai maschi hanno imparato a far lobbying, a trovare influencer». Le statistiche lo dicono: le donne che privilegiano la carriera rischiano di guadagnare, tra i 30 e i 49 anni, il doppio delle coetanee che investono in fiori d’arancio.
Viva l’amore
Senza famiglia? Non è d’accordo Rosanna D’Antona, presidente e Ceo di Havas PR Milan, attiva nei temi di leadership femminile: «La covata delle donne nate negli anni 80 e 90 è pronta per il mondo del lavoro, sono istruite, disponibili, flessibili, creative. Ma da qui a dire che il mondo del lavoro sia pronto per loro... Mi preme ricordare che una tale consapevolezza di prospettive deve venire, ancora, dalla libertà di potersi fare una famiglia. Rinunciare in partenza non è né un investimento, né un arricchimento. Le aziende il problema se lo pongono, c’è fermento nelle imprese. Conosco professioniste di successo con figli, e altre che vivono da sole: l’importante è sapere che essere donne è sempre uno stato di grazia».