Gentile Direttore,
colgo l’occasione per trarre spunto dalle riflessioni che Ella ha voluto condividere con tutti i suoi collaboratori, dirigenziali e non, con la nota del 17.10 u.s. e relativa alla “gestione dei carichi di lavoro”. Una più ampia riflessione su una materia tanto strategica per l’Agenzia quanto vitale per il quotidiano impegno professionale dei lavoratori del fisco.Innanzitutto vorrei ringraziarLa per aver affrontato a viso aperto tale tematica, circostanza raramente rinvenibile nella dirigenza dell’Agenzia, soprattutto di vertice.
Consta, però, non condividere appieno l’impostazione che Ella ha dato alla problematica anche se sono cosciente che ha, di fatto, voluto riportare quelle che sono le “linee guida” dell’Agenzia; purtroppo, ritengo, dettate verticisticamente e non sempre condivise dagli stessi dirigenti e dai lavoratori ma, gioco forza, attuate.
Senz’altro è condivisibile ed è ormai pacifico che la realizzazione di un determinato obiettivo operativo (numerico) – certa quantità “X” di produzione – determina (…e deve determinare) l’ulteriore risultato “qualitativo” atteso relativamente ad un “effetto persuasivo” circa la legittimità e la sostenibilità della pretesa erariale nonché un “effetto dissuasivo” riguardo alla reiterazione dei comportamenti illegittimi e, aggiungerei, ad una elevata “compliance”.
E’ chiaro che tale missione istituzionale può essere perseguita con modelli diversi di pianificazione degli obiettivi che, in dottrina e prassi, possono avere successo o meno secondo anche il modello organizzativo che l’ente operante si è dato.
In questo senso è noto, a chi come Lei ha una conoscenza esaustiva delle dinamiche della nostra Amministrazione, che l’Agenzia delle Entrate avrebbe abbandonato il modello, per perseguire gli obiettivi, basato sui cosiddetti tempi unitari medi di produzione (TUM).
Consta rilevare, però, pur se il sottoscritto non intende giocoforza perorare la superiore “bontà” o meno di tale metodo che, il sistema “quantitativo” dei TUM, è stato da oltre un quinquennio superato non già perché “desueto” o, in assoluto, non coerente con una corretta pianificazione e realizzazione dei carichi di lavoro ma perché l’Agenzia, con strategia “autoreferenziale” e verticistica, ha inteso sopperire a criticità inerenti la carenza di personale, l’assenza di adeguata incentivazione e “motivazione”, inadeguati investimenti, l’assenza di turn over (come nel caso della regione oggetto della Sua direzione), ecc., pur di garantire acriticamente e “comunque”, all’organo politico, soprattutto in occasione di definizione della Convenzione Agenzia/MEF, risultati superori o quantomeno “non inferiori” a quello dell’anno precedente.
Le crescenti difficoltà organizzative e strutturali che progressivamente si sono avute a causa di tagli lineari, spending review, blocco turn over, continue riorganizzazioni, in pratica sono state affrontate nascondendo le criticità e, quindi, variando il metodo di approccio: passando da una pianificazione degli obiettivi coerente con le risorse umane e strumentali disponibili ad una in cui, come Lei ha, in pratica, ben descritto “… per volumi di produzione da realizzare (brutalmente per numero di pezzi)”.
E’ noto, non già per la trasparenza in materia dell’Agenzia, che ci si basa, in sede di Pianificazione annuale (la Convenzione arriva sempre a distanza di diversi mesi dall’inizio delle attività programmate…) sul c.d. “storico” e, possibilmente con un “X” in più rispetto all’anno precedente. Di fatto, questo è un momento in cui, ancora oggi, necessariamente vengono utilizzati TUM di riferimento per definire concretamente il numero di “pezzi” sulla base delle “ore uomo” lavorabili, salvo poi non applicarli nelle assegnazioni “a cascata”.
Banalizzando (…neanche troppo), si passa poi alla ripartizione dei carichi, dicendo: “Questi sono i pezzi, fateli!”
Anziché, quindi, verificare ed ottenere dalla “politica”, così come sopra intesa, di porre al centro delle politiche del nostro Paese una vera lotta all’evasione, il potenziamento della nostra Amministrazione, il riconoscimento della centralità della professionalità dei lavoratori del fisco, si è inteso cambiare metodo, “turarsi il naso” e costi quel che costi i pezzi vanno fatti anche se, aggiunge il sottoscritto, le condizioni date ormai sono al limite del “collasso”!
Probabilmente, ormai, il grido di “aiuto, non ce la facciamo più!”, da tempo urlato dai soli funzionari, oggi inizia, seppur ancora in sporadiche occasioni, ad essere accomunato da qualche timido eco di dirigenti che, operando quotidianamente sul campo, si rendono ormai conto del “rischio collasso”.
Appare, quindi, non convincente l’esempio che Ella riporta, a cui faccio rinvio (TUM di 65 ore per 23 atti di accertamento: totale 1495 ore, in cui un lavoratore per ipotesi potrebbe lavorare in modo inefficiente per un periodo inferiore e magari ritenendo non più di fare altro…), ciò per almeno due ordini di motivi. Infatti, nel caso in specie, rileverebbe più che l’inadeguatezza del metodo del TUM, l’inadeguatezza e la doppia responsabilità dirigenziale sia in sede di errata pianificazione dei carichi di lavoro sia in sede di audit di processo e assenza di controllo sull’efficienza del proprio collaboratore che produrrebbe atti, in termini qualitativi, non legittimamente sostenibili ai fini della pretesa erariale.
Inoltre, anche con riferimento alla programmazione (sotto l’aspetto quantitativo) elaborata, oggi dall’Agenzia, “…per volumi di produzione da realizzare (brutalmente per numero di pezzi)” induce facilmente i Suoi collaboratori, dirigenziali e non, al semplice calcolo matematico di dividere il volume di produzione assegnato per le ore disponibili derivante dal numero dei lavoratori in effettivo servizio presso le proprie strutture di direzione per avere, di fatto, il TUM di riferimento da seguire durante l’anno.
Quello che però preme maggiormente rilevare è che, al di là del metodo specifico adottabile, non possono essere messi in discussione alcuni principi che trovano confermain previsioni normative oltre che nelle corrette logiche di pianificazione.
In relazione ad un’efficace gestione degli obiettivi si deve sottolineare che:
- Le risorse umane devono “influenzare” la definizione dell’obiettivo essendone un fattore costitutivo, quindi, essenziale per il conseguimento. Non esiste, quindi, obiettivo aziendale senza essere in diretto rapporto con le risorse effettivamente disponibili, specificatamente assegnabili alle attività per il conseguimento dell’obiettivo stesso.
- Le risorse, in termini numerici ed in termini di professionalità, devono essere funzionalmente in grado di supportare l’obiettivo.
Sintetizzando, lo stesso famigerato ed odiato, da parte sindacale, D.L.vo n. 150/2009 (Legge “Brunetta”) prevede come gli obiettivi, necessariamente, devono essere “…correlati alla quantità e alla qualità delle risorse disponibili”.
Infine, ulteriore principio che deve permeare la materia è data dalla necessaria chiarezza e trasparenza dei criteri di definizione degli obiettivi, della loro congruità nell’assegnazione alle singole strutture, nonché della trasparenza e condivisione dei risultati attesi.
I lavoratori, dirigenziali e non, hanno diritto di conoscere, propedeuticamente alle loro attività, la risposta ad alcune domande quali:
- come vengono definiti gli obiettivi degli Uffici e quale è il loro collegamento con l’allocazione delle risorse.
- Come viene valutata la coerenza tra la definizione dell’obiettivo e le risorse effettive di un Ufficio e la correttezza del suo perseguimento, nel rispetto dell’imparzialità e
dell’equità verso i cittadini/contribuenti.
- Come viene misurata la qualità del lavoro svolto.
Se su questo non c’è trasparenza, non si può valutare la qualità del lavoro del dirigente o del funzionario e risulta anacronistico oppure banalmente intimidatorio prospettare l’applicazione di norme sanzionatorie (artt. 65 e ss. CCNL), peraltro, ben conosciute dagli stessi lavoratori del fisco.
L’occasione è gradita per porgere cordiali saluti e augurare buon lavoro.
Roma, 28 ottobre 2013
Coordinatore Generale
UILPA Agenzia Entrate
Renato Cavallaro
Note del Direttore Regionale della Calabbria
Gentili Colleghi,
il trascorso decennio è stato caratterizzato da cambiamenti organizzativi e gestionali che hanno riguardato, in generale, il complessivo “mondo” della PA e in particolare, l’Amministrazione Finanziaria con l’istituzione delle Agenzie Fiscali. Nella fattispecie, l’art. 63 del D.lgs. n. 300 del 30 luglio 1999, nel definire le attribuzioni dell’Agenzia delle Entrate, ha delineato altresì la missione istituzionale da perseguire, ossia, “il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale”.
Nel perseguire la missione istituzionale, l’Agenzia, in quanto Ente Pubblico non Economico deve operare nel rispetto dei principi di imparzialità e di buon andamento sanciti dall’art. 97 della Carta Costituzionale, ossia secondo efficienza, efficacia ed economicità.
Inoltre, specie nell’ultimo quinquennio, si è assistito ad una radicale trasformazione del modo di concepire la pianificazione e il controllo delle attività e soprattutto della stessa concezione di obiettivo e di efficacia dell’azione. Da un modello fondato sull’output (ossia sul prodotto) si è gradualmente – e con non poche difficoltà – passati un ad modello orientato all’outcome (ossia agli effetti dell’azione) e, contemporaneamente, il concetto autoreferenziale di efficacia intesa quale capacità di raggiungere il volume di produzione fissato1 è stato correttamente impiegato per misurare l’impatto dell’azione sul comportamento dei cittadini-contribuenti.
Così se l’obiettivo operativo è quello di realizzare una certa quantità “X” di produzione, l’effetto atteso riguarda l’impatto che la produzione sviluppata eserciterà sul comportamento dei contribuenti ossia sui livelli adempimento spontaneo. L’efficacia dell’azione dell’Agenzia, quindi, non è direttamente correlata alla quantità di produzione realizzata, bensì alla bontà della programmazione (a fine esercizio, salvo il verificarsi di eventi particolari in corso d’anno, sono riuscito a fare esattamente ciò che avevo programmato di fare) e alla qualità complessiva dell’attività svolta, sia nell’ottica dell’erogazione dei servizi ai contribuenti che in quella di prevenzione e contrasto all’evasione, i cui atti producono (o perlomeno dovrebbero) un effetto persuasivo circa la legittimità e la sostenibilità della pretesa ed uno dissuasivo riguardo alla reiterazione dei comportamenti illegittimi.
E’ chiaro che un simile modello, più vicino alla realtà e alla missione istituzionale perseguita, non possa ritenersi compatibile con un approccio culturale2 poggiato sui cosiddetti tempi medi di produzione (TUM).
Pertanto, Gentili Colleghi, poiché nel corso delle diverse riunioni operative avute nell’anno è emerso che ancora oggi, specie con riguardo all’attività di prevenzione e contrasto all’evasione, si registrano delle resistenze (più o meno diffuse) da parte del personale dipendente a svolgere i carichi di lavoro affidati, facendo ricorso a motivazioni che richiamano, essenzialmente, i tempi medi di lavorazione, mi corre l’obbligo di ricordare che:
- La programmazione (sotto l’aspetto quantitativo), ormai da oltre un quinquennio, non viene più elaborata in base ai TUM ovvero in termini di ore equivalenti, ma per volumi di produzione da realizzare (brutalmente per numero di pezzi);
- Il contratto di lavoro individuale vincola ad un orario di servizio di 36 ore settimanali, ed in virtù di tale contratto si è retribuiti. La perversa logica dei TUM invece, potrebbe indurre all’erroneo convincimento3, che se un qualsiasi dipendente realizzasse 23 atti di accertamento (ad esempio nei confronti di soggetti di medie dimensioni) con un TUM di 65 ore (totale 1495 ore), magari limitandosi a trasporre in modo acritico i rilievi contenuti in PVC, contestando come non di raro accade decine di milioni di euro dei quali si riscuote poco o nulla, impiegando come tempo effettivo qualche mese di lavoro (ad esempio gennaio-giugno), si sentisse per questo esonerato dal prestar la propria attività lavorativa per il restante periodo dell’anno (luglio-dicembre).
- A differenza di quanto previsto per i contratti di lavoro subordinati retribuiti con il sistema del cottimo, la retribuzione non va intesa quale mero corrispettivo dell’adempimento dell'attività, ma dell'impegno profuso personalmente nell’attività, e non è un caso che proprio per questa ragione che si viene retribuiti5 anche quando l’obbligazione non è concretamente
adempiuta (ferie, permessi retribuiti, malattia, ecc.).
Chiaramente, compito di ciascun responsabile di struttura, ad ogni livello di responsabilità, sarà quello di assicurare un’assegnazione dei carichi di lavoro che miri a garantire il massimo grado di equità, elemento indispensabile per guadagnarsi sul campo l’impegno di tutti. Nei fatti, è ciò è scientificamente provato, i comportamenti percepiti come iniqui finiscono per minare la base fiduciaria sottostante i fenomeni organizzativi e sociali. Così se l’equità normativa (fiscale e non) è un elemento essenziale della compliance riconducibile ai cittadini - contribuenti, l’equità dei comportamenti interni è determinante per la costruzione di un valore aziendale che si consolidi nel tempo e che non può prescindere dal grado di affidamento di ciascuno verso l’Istituzione di appartenenza.
Compito di ciascun responsabile è, altresì, quello di contribuire a sviluppare nei propri collaboratori un senso di “cittadinanza organizzativa”, ossia di quella dimensione motivazionale che fa riferimento a quei comportamenti discrezionali che favoriscono l’efficacia dell’organizzazione pur non essendo né specificati o imposti dal contratto di lavoro, né direttamente o esplicitamente riconosciuti dal sistema di ricompense formali. Si tratta, nei fatti, di aspetti di ordinaria diligenza che però, se adeguatamente sviluppati, producono un importante valore aziendale. Tra questi, sicuramente rientrano la coscienziosità (particolare cura nello svolgimento del proprio lavoro), la virtù civica (forte senso di responsabilità nei confronti dell'organizzazione), la sportività (atteggiamento positivo e di lealtà verso l’organizzazione), l’altruismo (disponibilità ad aiutare i colleghi nei loro compiti), e la cortesia (premura nell’istaurare relazioni improntate alla gentilezza e alla cooperazione). In sintesi, rientrano nei comportamenti di “cittadinanza organizzativa” tutti i “comportamenti cooperativi che hanno conseguenze positive per l'organizzazione ma che non sono richiesti o formalmente ricompensati”.
Infine, non ci si può esimere dal rammentare che “le condotte che causano violazione degli obblighi contrattuali” assumono rilevanza ai fini dell’esercizio del potere disciplinare di cui all’art. 55 e ss. del D.lgs. n.165/2001 la cui responsabilità procedimentale è riconducibile ai responsabili aventi (e non) qualifica dirigenziale. Su tali questioni, questa Direzione vigilerà con la dovuta attenzione, adottando (o facendo adottare) le opportune misure correttive, in caso di comportamenti non conformi alle presenti indicazioni.
I Direttori Provinciali sono invitati ad assicurare la massima diffusione della presente nota tra tutto il personale, dando un cenno di riscontro alla casella di funzione dell’Ufficio in intestazione.
Cordiali saluti.
IL DIRETTORE REGIONALE
Antonino Di Geronimo*