Commento alla sentenza del 3 luglio 2013 n. 28603 con cui la Cassazione ha riconosciuto una forma più attenuata di mobbing, lo straining, ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro.
Qualora nel luogo di lavoro si verifichino situazioni relazionali o organizzative non corrette si parla di disfunzioni nei rapporti di lavoro.
Tra tali disfunzioni troviamo il cd. “mobbing”, ovvero ciò che viene comunemente definito come il terrore psicologico sul luogo di lavoro, consistente in comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui relegato da reiterate attività ostili. Queste azioni, che danno spesso luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali per la vittima, rientrano nella definizione di mobbing, qualora siano caratterizzate da un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e da una durata significativa (almeno sei mesi).
Una forma più attenuata di mobbing è il cd. “Straining” ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. Affinché si possa parlare di straining è dunque sufficiente una singola azione stressante cui seguano effetti negativi duraturi nel tempo (come nel caso di gravissimo demansionamento o di svuotamento di mansioni). La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer).
La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28603 del 03 luglio 2013 interviene sul tema del mobbing qualificando i comportamenti ed episodi di emarginazione come straining ossia mobbing attenuato.
Questa significativa ed interessante pronuncia della Cassazione, che ha riconosciuto ad un dipendente di banca, “messo all’angolo” fino a essere relegato a lavorare in uno «sgabuzzino, spoglio e sporco», con «mansioni dequalificanti» e «meramente esecutive e ripetitive»: comportamenti complessivamente ritenuti idonei a dequalificarne la professionalità, comportandone il passaggio da mansioni contrassegnate da una marcata autonomia decisionale a ruoli caratterizzati, per contro, da “bassa e/o nessuna autonomia”, e dunque tali da marginalizzarne, in definitiva, l’attività lavorativa, con un reale svuotamento delle mansioni da lui espletate.
I giudici di legittimità precisano che nelle grandi aziende èdifficile parlare di mobbing: infatti, tale fattispecie è costruita a livello giurisprudenziale (infatti non vi è riscontro nel diritto positivo del fenomeno del mobbing) tramite il rinvio all’articolo 572 del codice penale, norma che incrimina il reato di maltrattamenti in famiglia. Ma ciò non toglie che, escluso il delitto di maltrattamenti, non possano configurarsi comunque altri reati.
Fonte: www.leggioggi.it