Come già più volte denunciato, la UIL PA ribadisce la sua assoluta opposizione al Decreto Legislativo di riordino della CRI approvato il 28 settembre u.s.. Sia il metodo procedurale che il Governo ha scelto di seguire, dove non è sfuggito il modo “arrogante” con cui il Ministro della Salute ha condotto le “trattative”, eludendo sistematicamente la disponibilità offerta dalle OO.SS., finalizzata a sollecitare una seria e responsabile discussione sugli aspetti più problematici e significativi contenuti nel provvedimento, che la proroga di delega in tempi assai ristretti svelano, infatti, una precisa strategia precostituita che ha avuto come sostanziale obiettivo quello di impedire l’approfondimento delle tematiche in questione.

Con tali premesse non poteva che scaturire un decreto apparentemente e formalmente finalizzato alla riorganizzazione dell’Ente CRI, ma che nella sostanza più che rendere maggiormente funzionali e produttive le attività dell’Associazione, finirà ineluttabilmente col risolversi in un loro ridimensionamento se non in un radicale smantellamento di irrinunciabili servizi di rilevanza sociale.

Entrando nel merito dei contenuti, il decreto, pur indicando (art. 1, comma 4), le funzioni istituzionali che la nascente Associazione privata di interesse pubblico sarà chiamata ad assolvere,non chiarisce con quali modalità, mezzi, risorse materiali, finanziarie ed umane intenda assicurarle.

Nelle intenzioni, difatti, tutte le attività di interesse pubblico che l’Associazione è autorizzata a svolgere dovrebbero essere sostenute da una rete di volontariato con l’apporto di una quota di dipendenti che transiterebbero dall’Ente pubblico in scioglimento all’Associazione privata.

Appare quantomeno pretenzioso, se non contraddittorio, come si possa conciliare, da una parte una riorganizzazione e sviluppo delle numerose attività e servizi che la CRI presta e fornisce attualmente alla cittadinanza e contemporaneamente dare avvio ad una massiccia dismissione del patrimonio immobiliare (art. 4) ed una evidente, drastica riduzione (art. 6) delle risorse umane ad oggi impiegate, oltretutto in assenza di una qualsiasi forma di sovvenzione statale.

Ed è proprio il destino del personale uno dei punti più delicati che maggiormente preoccupa questa O.S.. Come già esposto, il decreto prevede (art. 5) il transito del personale appartenente alCorpo Militare nell’ambito dei ruoli civili, che passerà a seguito di tale trasferimento, dalle attuali 1.230 unità a circa 2.500. Contemporaneamente a tale aumento di organico “reale”, l’articolo 6 dispone la revisione della pianta organica e la definizione di un nuovo organico “provvisorio” che verrà valutato compatibilmente alle risorse disponibili.

Per il rimanente personale saranno applicate (art. 6, comma 3) “le disposizioni vigenti sugli strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni”, il che tradotto in termini menoburocratici ma, anche alla luce delle più recenti politiche di “spending review”, certamente più sostanziali, significa una “mobilità” puramente teorica e senza sbocchi concreti o quantomeno estremamente limitati.

In altre parole, pur non mettendolo nero su bianco, quello che tra le righe si prospetta è una mobilità senza reali vie di uscita, al termine della quale si arriverà a quello che è il vero obiettivo, anche da parte di questo provvedimento: la riduzione della spesa pubblica ottenuta attraverso lo smantellamento progressivo di un Ente, dei suoi servizi, delle sue risorse materiali ed intellettuali, il pesante licenziamento in blocco di dipendenti pubblici. Non meno deludente e preoccupante è la posizione dei numerosi dipendenti a tempo determinato che vedono il loro futuro (art. 6, comma 9) segnato dalla prossima data del 31 dicembre 2013 con la risoluzione dei contratti in essere o nella migliore delle ipotesi dalla risoluzione delle relative convenzioni.

La disponibilità del Governo si riduce, in ultima analisi, nell’istituire una sede di confronto presso il Dipartimento della Funzione Pubblica tra i diversi Ministeri coinvolti nel riordino della CRI e le OO.SS. (art. 6, comma 5). In tale sede appare evidente alla scrivente O.S. la necessità imprescindibile di procedere a delle correzioni del decreto, modifiche che offrano inequivocabili garanzie sia per quanto riguarda le attività dell’Associazione che l’impiego del personale sia a tempo indeterminato che determinato.

Qualora il Governo e le forze politiche che lo sostengono si dimostrassero insensibili a tali considerazioni, emergerebbe evidente la conferma che il decreto legislativo di riordino della CRI non è altro che un paravento, lucidamente costruito, che nasconde un’altra più cinica volontà: la volontà di privatizzare l’Ente al fine di dismettere l’ingente patrimonio immobiliare senza i vincoli gravanti sul pubblico e sfoltire il personale della Pubblica Amministrazione sostituendolo con altro che possa essere assunto con criteri clientelari e contratti che prevedano meno tutele e minore retribuzione. Se ciò si dovesse verificare, il Governo si assumerebbe la responsabilità delle inevitabili quanto imprevedibili ricadute sociali che ne potrebbero derivare.

EVENTUALI ATTIVITA’ DA PROPORRE (se corrette e sostenibili)

Esempio: gestione dei CIE e dei CARA, coordinamento su base nazionale della formazione di carattere socio-sanitario delle associazioni di volontariato operanti nell’ambito della Protezione Civile, affidamento di convenzioni con il S.S.N.

Con tutte le considerazioni sopraesposte questo Sindacato ribadisce con fermezza che continueremo senza mezzi termini e con tutte le nostre forze a lottare per mantenere la CRI un Ente Pubblico al servizio di tutti i cittadini italiani e non.