22/06/2013
La riforma Fornero non sta funzionando, non fa decollare il lavoro, non permette che si creino le condizioni per avviare nuovi posti, perché la rigidità e le incertezze contenute portano i datori all'immobilismo. A bocciare la legge 92/2012 ad un anno della sua entrata in vigore sono i consulenti del lavoro intervistati, con un sondaggio, dalla Fondazione studi di categoria. I risultati dell’indagine sono stati presentati stamattina nell’ultima giornata dei lavori del Festival del lavoro di Fiuggi. Con una prima indagine, svolta ad un mese dall’avvio della legge, su un campione significativo di studi di Consulenti del lavoro sensori privilegiati in materia di lavoro sul territorio, era già emersa una chiara assenza di fiducia da parte degli imprenditori che non sembravano investire sull’occupazione come auspicato dal Governo. Questa tendenza è stata confermata anche dopo tre mesi grazie a un'altra indagine dove il 64% degli intervistati afferma di non aver visto incentivate le assunzioni assieme al 27% che non le ha viste incentivare in forma rilevante.
Oggi nuove conferme arrivano dai Consulenti del lavoro. Andando ai risultati dell’indagine, per l’associazione in partecipazione (notevolmente revisionata), l’auspicata trasformazione in rapporti di lavoro subordinato è avvenuta solo per il 7% dei casi, mentre l’83% degli associanti attende modifiche alla norma prima di valutare se procedere con le trasformazioni o con la risoluzione dei contratti in essere. Ancora, il contratto a tempo determinato senza causale non sta incoraggiando l’avvio di nuovi rapporti di lavoro. Per le alternative al lavoro a progetto, invece, i committenti non sono orientati di certo al contratto a tempo indeterminato (3%) e nemmeno al contratto di apprendistato (21%), ma piuttosto al contratto a termine (43%) e ad altri contratti (33%). Si potrebbe pertanto creare proprio l’effetto contrario allo spirito della riforma: il proliferare di contratti a termine. Anche i licenziamenti (art.18) sono stati sotto la lente della Fondazione studi per capirne gli effetti. Ed è emerso che il 38% dei lavoratori non avverte una maggiore preoccupazione, mentre il 46% non ha nemmeno capito quali sono le novità e cosa comportano.
Solo il 16% di dichiara preoccupato. Le Commissioni di conciliazione presso le Dtl, che devono esaminare con le parti interessate i casi di licenziamento economico, per il 37% delle ipotesi hanno permesso di raggiungere un accordo di risoluzione consensuale tra datore e lavoratore, mentre per il 57% dei casi il licenziamento è avvenuto ugualmente. Solo il 6% dei datori ha ritirato il licenziamento a seguito dell’intervento della Commissione. Ma l’indagine si spinge oltre ed esamina se sia avvenuto l’aumento dei contratti a termine e in che modo questo aumento sia suddiviso nelle diverse categorie. Alla richiesta se siano aumentati i contratti a tempo determinato il 68% dei Consulenti del lavoro interpellati ha risposto “no”, mentre al restante 32% che ha risposto “si”, sono state sottoposte ulteriore richieste con il fine di specificare meglio e nel dettaglio per quali contratti si sia verificato un calo. I contratti a temine sono aumentati perché sono calati i contratti a progetto, le partite iva e i lavoratori intermittenti?
Per circa la metà (51%) la risposta è stata positiva. Nel dettaglio le stipule di questi 3 contratti hanno influito nel seguente modo: i lavoratori a progetto sono calati del 43%, le partite iva del 27% e gli intermittenti del 30%. Altro punto dolente è la riforma dell’apprendistato, un contratto rivolto ai giovani che però stenta a riprendere slancio a causa degli infiniti vincoli su formazione, percentuali di conferma obbligatorie, adempimenti formali, durata minima, limiti numerici. Il quadro di insofferenza emerge molto chiaramente dall’indagine e al primo posto tra i vincoli sopra elencati ci sono la formazione (63%) e gli adempimenti formali (47%). Non ultimo per importanza il contratto di lavoro intermittente che in questi anni ha rappresentato, grazie alle numerose modifiche introdotte ante legge Fornero, un’ottima possibilità di creare lavoro flessibile proprio nei settori dove prima c’era maggiore ricorso al lavoro sommerso.
Così i vincoli di comunicazione dettagliata e con limitati canali utilizzabili (sms e mail), apportati dalla legge 92/12 e poi ristretti da ulteriori provvedimenti, hanno fatto decidere ai datori di lavoro di cessare i rapporti di lavoro a chiamata avviati ante riforma, senza però provvedere a riassumere il medesimo lavoratore con altre forme contrattuali. Il 43% degli intervistati ha affermato che questo è accaduto all’80% dei contratti, inoltre, il 39% l’ha visto verificarsi per il 50% dei casi.