di Marino Longoni 24/06/2013
La norma sulla indennizzabilità dei ritardi della pubblica amministrazione, contenuta nel decreto legge del fare, può essere presa ad emblema di come questo governo sta affrontando i problemi che attanagliano il paese. Nessun dubbio sulla diagnosi. La morsa dell’apparato burocratico sulle imprese è certamente uno dei più forti vincoli allo sviluppo. Le denunce sui costi della burocrazia, le lentezze e l’autoreferenzialità di un apparato pletorico e inefficiente, sono quasi quotidiane. Bene.
Il governo, preso atto della malattia, ha deciso di proporre anche un rimedio: la pubblica amministrazione pagherà in moneta sonante tutte le volte che arriverà fuori tempo massimo. Sembra una buona idea. Ma la ragioneria dello stato deve aver fatto presente che se applicata a tutti i ritardi della pubblica amministrazione questa norma avrebbe rischiato di far saltare i conti pubblici. Così il testo del decreto è stato sterilizzato fino al punto da ridurre l’indennizzo ad una pura operazione di cosmesi governativa. Insomma una norma in grado di produrre titoli al tg e sui giornali, ma nessun effetto concreto.
Si prevede infatti per l’impresa che lamenta il ritardo della Pa, un percorso a ostacoli tale che ben difficilmente arriverà a concludersi con una sanzione a carico delle pubbliche amministrazioni. C’è anzi il rischio che sia l’impresa ad essere condannata a pagare una somma all’ente pubblico. In ogni caso l’indennizzo è stato ridotto a 30 euro per ogni giorno di ritardo, con un massimo di 2.000 euro. Con queste prospettive vale la pena di affrontare un procedimento giudiziario?
Probabilmente, l’effetto della norma sarà quello di favorire i ritardi molto lunghi e di incrementare il contenzioso amministrativo. In aggiunta la pubblica amministrazione si è anche riservata un paio di comode vie di fuga. La prima è legata al fatto che, essendo sperimentale, l’indennizzabilità potrà essere cancellata tra 18 mesi nel caso creasse troppi problemi ai manovratori. La seconda, clamorosa, è nel testo stesso del decreto, laddove prevede che “nel caso emergano criticità, le pubbliche amministrazioni potranno individuare termini procedimentali più adeguati alle loro esigenze organizzative”. Cioè il termine ordinario di 30 giorni potrà essere allungato fino a 180. Siamo al puro velleitarismo normativo. Alla mistificazione legislativa. O, più prosaicamente, alla presa per i fondelli. Finirà che per non pagare nemmeno pochi euro di indennizzo, si allungheranno i termini dei procedimenti. Ma la ratio della norma non era di velocizzarli?
Il dramma è che anche negli altri 85 articoli del decreto è difficile rinvenire qualcosa di più consistente di un elenco di buone intenzioni. Di ben altro avrebbe bisogno il Paese, prostrato da una crisi devastante. Di una riduzione consistente dei costi della macchina pubblica, di una dismissione massiccia del patrimonio dello Stato e degli enti pubbliche. Di una lotta senza quartiere a corruttele e consorterie. Di un taglio secco della pressione fiscale, ormai ufficialmente al 53% del Pil. Nel decreto del fare, invece, non c’è niente di tutto ciò. Solo pannicelli caldi.