Al banchetto dei pagamenti della p.a. siederanno anche i professionisti. I crediti da loro vantati verso la pubblica amministrazione si affiancano a pieno titolo a quelli per somministrazioni, forniture e appalti che potranno essere oggetto di certificazione da parte delle regioni e degli enti locali per essere poi ceduti a banche e intermediari finanziari. Doveva essere un passaggio lampo e limitato a poche, fondamentali, modifiche quello del dl 35 al senato.

E invece il testo che ieri è stato licenziato con larghissima maggioranza dall’aula di palazzo Madama (247 voti favorevoli, 7 astenuti, tutti del gruppo di Sel e nessun voto contrario) presenta molte sostanziali novità, a cominciare proprio dall’ampliamento della platea dei beneficiari. Che ovviamente non può non piacere ai diretti interessati. «Si tratta di una boccata d’ossigeno anche per i liberi professionisti, che entrano a pieno titolo tra i beneficiari del decreto», ha commentato il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «In una fase economica difficilissima, il provvedimento approvato dal senato potrebbe sbloccare ingenti risorse a favore di migliaia di professionisti, soprattutto dell’area tecnica e sanitaria, che vantano crediti certi, liquidi ed esigibili per svariati milioni di euro nei confronti della pubblica amministrazione centrale e locale». 

Anche il Consiglio nazionale degli architetti plaude alle modifiche introdotte dai relatori Antonio D’Alì (Pdl) e Giorgio Santini (Pd) in un momento in cui «gli architetti stanno soffrendo, quanto o più delle imprese, lo scandalo dei ritardati o mai avvenuti pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni che stanno strozzando migliaia di professionisti e le loro famiglie, già colpite duramente dalla crisi».  Tra gli emendamenti approvati a palazzo Madama si segnalano anche quelli presentati in extremis dai relatori e che hanno portato a uno slittamento di un giorno della tabella di marcia, costringendo la camera dei deputati a un vero superlavoro per la definitiva conversione in legge del decreto che dovrà avvenire entro il 7 giugno. Lunedì sera infatti (si veda ItaliaOggi di ieri) il duo Santini-D’Alì aveva partorito tre sostanziali modifiche in materia di finanza locale, molto attese e richieste dai comuni. 

Dalla proroga dell’uscita di scena di Equitalia dalla riscossione locale (che è slittata al 2014) a quella dei bilanci comunali (che a causa delle incertezze legate alla sospensione della prima rata dell’Imu potranno essere chiusi solo quando si conoscerà l’esito della riforma dei tributi immobiliari locali e quindi entro la nuova dead line del 30 settembre), passando per la restituzione dei 600 milioni che i sindaci si aspettavano a titolo di rimborso dell’Imu sui fabbricati di proprietà comunale. Il farraginoso meccanismo messo in piedi dal Mef l’anno scorso prevedeva infatti che i comuni dovessero pagare (per di più a sé stessi) l’Imu sui propri fabbricati. L’equivoco normativo però non si limitava a creare una semplice partita di giro, ma incideva direttamente sui trasferimenti erariali ai comuni ridotti nel 2012 proprio in funzione del gettito Imu potenziale.  L’emendamento Santini-D’Alì, su sollecitazione del governo, ha chiuso la partita non senza qualche polemica. 

Sono stati infatti stanziati 600 milioni di euro, ma 400 di questi sono stati reperiti dai fondi a disposizione delle imprese. Il fondo per pagare i debiti degli enti locali si riduce così di 200 milioni nel 2013 e di altri 200 milioni nel 2014. «È stata una scelta del governo», ha spiegato il relatore Santini, aggiungendo che «il fondo verrà rimpolpato nel 2014». Approvato infine un emendamento che salva le elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in programma il prossimo 23 giugno. I giudici sovrannumerari che entro quella data non siano stati immessi nelle funzioni giurisdizionali non potranno nè votare nè essere eletti.