di Anna Dichiarante
È stata davvero una settimana nera, quella che si sta concludendo; perlomeno, lo è stata dal punto di vista della pulizia delle istituzioni pubbliche italiane.
Prima, gli arresti domiciliari eseguiti nei confronti del sindaco di Battipaglia, Giovanni Santomauro, per una serie di appalti che sarebbero stati concessi a ditte di camorra; poi, l’operazione dei carabinieri di Palermo e l’indagine a carico del sindaco di Alimena, Giuseppe Scrivano, il quale avrebbe raccolto voti a pagamento da alcuni boss di Bagheria, in occasione delle elezioni regionali del 2012 (Scrivano era, infatti, candidato nella lista di Nello Musumeci).
Ancora, la richiesta di rinvio a giudizio per i reati di corruzione ed associazione per delinquere, avanzata dalla Procura di Milano nei confronti del neosenatore Roberto Formigoni.
Infine, la sentenza di condanna - pronunciata dalla Corte d’appello di Milano contro Silvio Berlusconi - a quattro anni di reclusione e cinque d’interdizione dai pubblici uffici, come pena accessoria, per il reato di frode fiscale nella compravendita dei diritti televisivi da parte di Mediaset. Semmai non dovesse bastare, ecco anche la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione - sempre per Silvio Berlusconi - formulata dalla Procura di Napoli (la vicenda è quella dei parlamentari che sarebbero stati comprati per far cadere il Governo Prodi nel 2008) e la requisitoria in arrivo al processo di Milano, che vede l’ex presidente del Consiglio imputato per concussione e prostituzione minorile.
Del resto, in Italia, notizie del genere stanno assumendo cadenza pressoché quotidiana, quasi si trattasse di ordinaria amministrazione; o meglio, ordinaria violenza all’amministrazione, quella pubblica.
Corruzione, concussione, frode fiscale, scambio elettorale politico-mafioso e così via, sono tutti reati che coinvolgono - in modo attivo o passivo - le istituzioni e che le offendono gravemente perché ne minano dall’interno la trasparenza, la credibilità, l’onorabilità; ne inficiano quel buon andamento e quell’imparzialità, citati pure dall’articolo 97 della Costituzione.
E se la Pubblica Amministrazione funziona male, seguendo logiche distorte o criminali, il danno che ne deriva ai cittadini è presto calcolato ed è un danno tanto più ignobile in un periodo di crisi, nel pieno del quale molti sono costretti a lottare per veder rispettati i propri diritti.
Senza dimenticare, poi, che la debolezza della politica e la sua facile permeabilità, rispetto ad atteggiamenti corrotti o vessatori, offrono un terreno di coltura ottimale al fiorire delle mafie e del loro agire caratteristico; infiltrare l’amministrazione, inquinare il voto, conquistare il controllo di attività economiche e servizi - naturalmente, al fine di arricchirsi - sono i tipici scopi della criminalità organizzata e chiunque può rendersi conto di come pubblica corruttela e mafia, talvolta, possano essere due facce della stessa medaglia. Per togliere linfa alla seconda, è necessario estirpare anche la prima; altrimenti, finiscono per nutrirsi a vicenda.
La corruzione (intesa, qui, in senso lato e generico) è un fenomeno deplorevole e subdolo, a cui sempre più frequentemente si accompagna un atteggiamento paradossale di fastidio verso chi - perseguendo il reato - svela, per forza di cose, la vergogna che vi sta dietro. Anche questo, d’altra parte, è una regola del gioco: per coprire i misfatti compiuti, si attacca in maniera volgare ed inaccettabile la Magistratura, si mistificano i fatti con ogni mezzo a disposizione, si adottano infiniti stratagemmi per aggirare l’ostacolo della legge.
Al proposito, pare interessante segnalare i dubbi che si sono andati assiepando sulla cosiddetta legge anticorruzione (la legge 6 novembre 2012, n. 190) e sulla riforma del delitto di concussione, quello che - nella forma dell’induzione, contestata, appunto, nel processo milanese contro Silvio Berlusconi - prevede ora sia una pena inferiore a quella comminata in precedenza (comportando, quindi, un termine più breve per la prescrizione) sia la punibilità di colui che, in passato, era considerato semplice vittima dell’abuso (punire il soggetto che non resiste alla pressione del pubblico ufficiale - seppur esercitata in forme che lascino un margine di autodeterminazione - significa forse incentivare il cittadino a maggior responsabilità e correttezza, ma potrebbe, per converso, disincentivare la denuncia e la collaborazione per il timore di finire incriminati).
Insomma, mafia e corruzione si presentano come un mostruoso ed eterno ritorno dell’uguale, proprio perché possono godere di appoggi laddove, invece, dovrebbero trovare solo nemici. Se la legge viene ripiegata su se stessa, se l’opportunità politica è considerata soltanto un vuoto concetto su cui esercitare la dialettica, se il male diventa chi lo scopre, allora il mondo finisce capovolto; così come impenitenti - oserei dire, strafottenti - appaiono le adunate di piazza che gridano alla persecuzione giudiziaria e lanciano strali contro l’amministrazione della giustizia: adunate che vedono indagati, imputati o già condannati andare a braccetto con ministri della Repubblica.
Non centrano nulla, qui, né la presunzione di non colpevolezza sino a condanna definitiva né la libertà di manifestazione del pensiero (sacrosante e fondamentali), bensì, si tratta di prepotenti tentativi d’intimidire i magistrati e di screditarne l’operato, da parte di qualcuno che ha abbastanza potere per creare mobilitazione.
Finalmente, è arrivato sabato; la settimana orribile dovrebbe essere quasi finita, ma dal palco della manifestazione di Brescia arrivano ancora incitazioni a resistere all’odio ed all’invidia delle toghe politicizzate, mentre da Roma filtrano le prime indiscrezioni su Francesco La Motta, ex prefetto ed ex vicedirettore del servizio segreto civile, indagato per corruzione e peculato, forse coinvolto pure in altre vicende di riciclaggio a favore di clan della camorra.
Francamente, dopo una settimana come questa, è la goccia che fa traboccare il vaso; il vaso della spudoratezza.