Carlo Mochi Sismondi   -  Presidente del Forum PA

In questi tempi di crisi, mentre invochiamo politiche pubbliche in grado di innescare la ripresa o almeno di fermare il declino, chiediamo con forza alla pubblica amministrazione di supportare queste azioni e quindi di essere efficiente, snella, rapida nelle risposte. Non un elefante burocratico, ma una macchina in grado di accompagnare i processi economici e sociali dando soluzioni innovative ai nuovi bisogni di cittadini ed imprese.

Il guaio è che tutti dicono alla PA che deve correre, la incitano con premi o con la paura di punizioni, ma non le tolgono il pesante zaino che ha sulle spalle e che non le consente neanche di camminare. Due le principali categorie di pesi. Dapprima una bulimia di norme che regolano, sin nei particolari, la gestione delle amministrazioni, lasciando pochissimo spazio al management e sfociando poi tutte nella scrittura di qualche piano. Affastelliamo così castelli di carte (o di bit, ma sappiamo che informatizzare l'inutile non lo migliora di certo) che diventano simulacri di azioni non compiute.

Basta pensare all'obbligo di redigere il piano per la trasparenza (ma non di essere trasparenti tant'è che ad un sereno esame quasi nessuna amministrazione passa l'esame), il piano per le performance, il piano della valutazione, il piano della sicurezza, il piano dell'anticorruzione, il piano per l'accessibilità, il piano per la continuità operativa, ecc. Tutti normati da leggi che si sono succedute, ripetute, duplicate e in parte contraddette negli ultimi due o tre anni e da legislatori e regolatori che non si sono accorti che intanto i buoi erano scappati. Ogni legge di riforma ha avuto un suo perché, spesso ha cercato la pancia del Paese piuttosto che la sua testa, ma nessuna legge ha avuto un percorso di implementazione definito né investimenti adeguati per una sua reale applicazione.

Il secondo tipo di pesi è dato dalla schizofrenia di una politica che non ha mai veramente voluto un'amministrazione innovativa. Impera così lo strabismo: mentre un occhio guarda lontano agli orizzonti dell'amministrazione digitale, all'accountability e alla total disclosure, l'altro controlla che siano dimezzate le spese di formazione, che siano ridotte ad un quinto le spese di comunicazione con i cittadini, che siano praticamente azzerate le risorse per acquistare professionalità innovative. Mentre la mano sinistra scrive appelli all'innovazione e all'apertura, la mano destra chiude i cancelli ai giovani, blocca il turn over (la PA italiana è la più vecchia del mondo), aiuta l'arroccamento di una classe di dirigenti inamovibili che della dirigenza assumono ruolo e stipendio, ma non il rischio.

Di innovazione nella PA abbiamo disperatamente bisogno, di tecnologie intelligenti ancor di più, più di tutto abbiamo bisogno però che la politica e il vertice amministrativo facciano chiarezza e passino dal piano delle carte al piano dei fatti, perché se la nave affonda non è auspicabile che il capitano si metta in sicurezza a redigere un piano contro i naufragi, ma che torni rapidamente a bordo e faccia mettere a mare le scialuppe di salvataggio.

L'obiettivo non è quindi di liberarci della PA, come blatera qualche pseudoliberista che ha letto male le pur vecchie e pessime lezioni di Reagan, perché la macchina pubblica è garanzia di imparzialità, di diritti per tutti, soprattutto per le fasce più deboli, e di attenzione ai beni comuni. L'obiettivo deve essere invece liberare la PA dai suoi pesi e dalle sue pastoie, che sono state comode per un triste consociativismo di interessi, ma che ora veramente non possiamo più permetterci.