Le donne dovranno aspettare 50, 100 e in alcuni casi perfino 400 anni per raggiungere la parità ai vertici nei vari campi, dall'economia alla medicina, dall'università alla magistratura. Non è una provocazione, ma la previsione della demografa sociale Rossella Palomba

di Eva Grippa 18.03.2013

 


La parità fra dirigenti uomini e donne nei ministeri sarà raggiunta nel 2037. In medicina, per arrivare alla quota del 50% tra i primari le donne sgomiteranno fino al 2087. La parità tra le cattedre universitarie sarà agognata fino al 2138 e tra i consigli di amministrazione fino al 2143; in magistratura fino al 2425 e in diplomazia addirittura fino al 2660. Abbiamo davvero tempo di aspettare?

Non si tratta di una provocazione, ma di una previsione di lungo periodo elaborata dalla demografa sociale Rossella Palomba nel libro inchiesta Sognando parità. «“Si sa, le donne sono più brave negli studi, si laureano con voti più alti, quindi è solo questione di tempo, pian piano raggiungeranno quota 50% in tutti i posti di lavoro...”. Ho sentito milioni di volte discorsi come questo, ma prima o poi … QUANDO?». Una domanda cui Rossella Palomba, demografa sociale del Cnr, esperta di problemi di genere e di lavoro femminile, ha dato finalmente risposta con la sua “cronologia potenziale”. «Il mio lavoro è fare previsioni quindi, settore per settore, faccio uso degli strumenti predittivi a mia disposizione per stimare il tempo necessario al raggiungimento dell'obiettivo parità senza un piano di interventi mirati».

Nell'introduzione scrive che la sua generazione ha creduto davvero di poter conquistare la parità. Il sogno si è infranto?
«Sì, perché la parità è stata conquistata solo a livello teorico. Per capire: un recente report europeo rileva che l’86% delle 135 nazioni analizzate ha registrato negli ultimi 5 anni un miglioramento della condizione della donna, mentre l'Italia è in quel 14% di paesi in cui la situazione è peggiorata (dal 67° al 74° al posto in graduatoria dal 2008 a oggi). Quel che è peggio è che le nostre figlie si illudono di averla già in tasca, ereditata dalle battaglie di zie e madri, finché entrano nel mondo del lavoro e si accorgono che possono esercitare professioni “maschili” ma non vengono retribuite come i colleghi, possono lavorare e far figli ma poi si scontrano con l'impossibilità di conciliare famiglia e carriera... Sono convinte di essere libere e di poter avere, se vogliono, le stesse opportunità di vita e sviluppo degli uomini. E questo è un problema».

Un problema che riguarda tutte, anche se non tutte se lo pongono
«Mentre scrivevo il libro ho intervistato alcune colleghe, chiedendo loro: da cosa ti accorgeresti che la parità è stata raggiunta? Una dottoressa mi ha risposto: “in farmacia avrei un reparto uomini e uno per le donne”. Poche lo sanno, ma anche lì siamo sottorappresentate, si parla ancora troppo poco medicina di genere».

Ma di cosa parliamo, quando parliamo di disuguaglianza? L’Italia e? il paese con il piu? basso tasso di occupazione femminile dopo Malta e l’Ungheria (stanno meglio perfino Romania e Bulgaria) e le donne che lavorano hanno stipendi piu? bassi degli uomini e qualifiche che non corrispondono al livello di istruzione raggiunto. Se poi la donna che lavora decide di fare un figlio, rischia di buttare al vento anche quello che ha conquistato: lavoro e maternita? in Italia sono meno conciliabili che in qualsiasi altro paese europeo, compresi Spagna e Grecia. Da noi quasi 1 donna su 2 non lavora se ha un figlio. Peggio: sono 800mila le interruzioni di lavoro forzate in due anni, quadruplicate dal 2003 a oggi anche a causa dell'indegna pratica delle dimissioni in bianco. «Nella pubblica amministrazione oltre il 75% dei posti sono occupati da donne” continua Palomba, ma al vertice non raggiungono il 40%: come mai? Su 70mila medici specialisti 40mila sono donne, ma ai ritmi annuali si raggiungerà quota 50% solo nel 2087».

Un orizzonte temporale che spaventa, e che spiega il significato della parola “Sognando” nel titolo. Perché quello della parità non resti un sogno, cosa possiamo fare?
«Prima di tutto accettare le quote rosa senza sentirsi svalutate nelle proprie capacità. Alcune pensano siano posti “regalati”, ma non è così: ci spettano di diritto, e a livello mondiale questo è l'unico strumento in grado di far raggiungere alle donne la massa critica necessaria a far cambiare un'organizzazione. Anni fa io stessa sono entrata grazie alle quote rosa nella segreteria nazionale di ricerca della Cgil: ci chiamavano la “riserva dei panda”. Con questo non voglio dire che il sistema delle quote sani tutto, bisogna lavorare affinché lo spazio alle donne diventi un principio programmatico fondamentale della democrazia paritaria: in Italia il 51% della popolazione, circa 60 milioni di persone, è donna, pretendiamo posti che sono nostri di diritto».

Rossella Palomba
Cosa succederebbe se, per paradosso, buttassimo fuori gli uomini per prenderci i posti che ci spettano?
«Non è questione di far fuori loro o noi, ma di livellamento. In questo momento l'Italia è in stallo da tutti punti di vista: approfittiamo per rimescolare le carte e vediamo cosa succede».

Anche perché, in alcuni settori, le donne potrebbe perfino far meglio...
«Certo, in finanza per esempio. Qualche tempo fa la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde disse, scherzando, che se avesse avuto più sisters che brothers la Lehman Brothers avrebbe fatto meno danni. Mi sono documentata per provare che è vero: se nei Cda delle banche ci fossero state donne – e non ce n'erano, quindi le “colpe” sono tutte maschili - probabilmente avremmo scampato la crisi perché numerosi studi dimostrano che le donne hanno meno propensione al rischio finanziario degli uomini, sarebbero state più oculate nella gestione. Paradossalmente è proprio la loro naturale propensione alla prudenza negli investimenti a farle escludere dai consigli di amministrazione delle banche, dove tali decisioni vengono ritenute rischiose ma necessarie per il successo», stigmatizza la demografa.

Con più donne al vertice, quindi, la finanza mondiale sarebbe più sicura. Non solo, l'Europa si scoprirebbe perfino più ricca. Un altro dato che ribalta il pensiero comune è quello relativo al “costo” della parità:
«Finora era considerato un lusso che solo i paesi nordici possono permettersi. Uno studio del ministero delle Pari opportunita? svedese dimostra invece che una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro potrebbe far crescere il PIL europeo di circa il 27%; in Italia l’aumento previsto sarebbe addirittura del 32%. Lo studio di tre ricercatrici della Banca d’Italia concorda, e rilancia: un’occupazione allineata ai tassi medi europei – cioe? al 60%– farebbe crescere il nostro PIL tra il 6 e il 9% all’anno».

Abbandoniamo la macro-economia per chiederci: nel nostro piccolo, come possiamo contribuire al cambiamento?
«Ogni settore ha le sue ineguaglianze e i modi di “disuguagliare” non possono essere validi per tutti. Un consiglio, però, lo posso dare: ovunque tu sia, guardati attorno con un occhio critico, contando quante donne ci siano tra gli invitati al programma di approfondimento in tv, tra i relatori di un convegno, sedute in cattedra all'università... Se lì dove ti trovi non ci sono donne, il pensiero che viene portato avanti in quel luogo non ti riguarda».
Nel suo libro scrive che spesso la definiscono “femminista” quasi fosse un insulto, cosa risponde loro?
«In effetti sono una donna, ma sto cercando di smettere».

 

 

 

Fonte: http://d.repubblica.it