Anche nel caso in cui il licenziamento disciplinare avvenga per l'attribuzione di un fatto specifico, come una lite, contemplato dal contratto di settore, la valutazione "deve essere effettuata attraverso un accertamento in concreto da parte del giudice di merito della reale entità e gravità del comportamento addebitato". Con queste conclusioni la Sezione Lavoro della Cassazione ha accolto, e rinviato alla Corte di Appello di Firenze, l'istanza di un lavoratore dell'Esselunga licenziato dopo aver fatto a botte con un collega.
Il contratto del terziario sanziona, all'articolo 221, con il licenziamento per giusta causa "il diverbio litigioso seguito da vie di fatto" che comporti "turbativa al normale esercizio dell'attività aziendale". In base all'applicazione di questa norma, il giudice d'Appello nel 2009 aveva ribaltato l'esito del processo in primo grado, condannando il lavoratore a restituire all'azienda il risarcimento concesso e a pagare le spese del processo.
Richiamando principi già espressi, la Suprema Corte ha invece chiarito che in materia di licenziamento disciplinare "spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva", ma stabilendo quanto "la gravità dell'episodio possa avere pregiudicato la prosecuzione del rapporto di lavoro". Questo "anche se la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo di recesso".
Infatti, "benché il giudice di merito possa far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti", ciò non esclude "che la nozione di giusta causa sia una nozione legale e che il giudice non sia vincolato alle previsioni di condotta integranti giusta causa contenuta nei contratti collettivi".