Una delle accuse storiche che è stata fatta al sindacato è stata quella di non assumersi responsabilità, quella di non saper distinguere tra la tutela dei diritti e la ricerca di privilegi, quella di non condannare comportamenti illegittimi piuttosto che immorali.
In buona sostanza l’accusa è la stessa che si rivolge ai partiti, quella di non essere migliori della società che pure si vuole rappresentare. Per questo oggi assistiamo al tentativo di delegittimare il ruolo di intermediazione sociale del sindacato? Io non lo credo.
Il sindacato nel nostro paese è stato protagonista ogni volta si sia attraversato un momento drammatico o semplicemente importante. Protagonista per portare a compimento quello che doveva essere il primo passo della compiuta integrazione europea nella adozione della moneta unica, protagonista negli anni di piombo nella difesa della democrazia contro ogni strategia eversiva.
Di tutto questo non si ha memoria.
Come non si ha memoria di come il confronto e la democrazia sui posti di lavoro siano parametri di civiltà. Più cinicamente si vuole efficientare un sistema lavorativo dove l’indicatore unico è la produttività. Ma ancora dove le competenze di ogni singolo lavoratore non sono un patrimonio della società, ma semplicemente conoscenze più o meno adeguate ad un processo lavorativo e i bisogni del lavoratore un fardello troppo oneroso da sopportare.
Oggi stiamo esercitando il nostro diritto di democrazia con l’elezione delle Rappresentanze Unitarie. Un sistema elettivo che mutua dal sistema elettorale politico motivazioni ed obiettivi. Dentro un contenitore identitario che è la lista, ogni candidato si propone ad un ruolo di rappresentanza dei suoi colleghi, dei suoi compagni di lavoro.
Noi viviamo la nostra esperienza di impegno nella UIL, in una organizzazione sindacale “che si prefigge di raccogliere e realizzare, nella lotta contro l’egoismo delle classi capitalistiche e la insufficienza della politica di governo, le aspirazioni della classe lavorativa, in piena indipendenza da ogni ingerenza politica, governativa o confessionale, nella visione di una migliore società”.*
Oggi come allora questi sono i nostri tratti identitari.
Ognuno di noi, grazie all’insegnamento del filosofo francese Bernardo di Chartres, è consapevole di vivere questa esperienza “come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”.
I nostri giganti sono i nostri genitori, i nostri nonni.
Quello che abbiamo ce lo hanno consegnato loro.
La civiltà che abbiamo trovato sul nostro posto di lavoro, i diritti che accompagnano la nostra attività quotidiana sono frutto della loro lotta, del loro credere che una società migliore è possibile.
Ora tocca a noi essere capaci di raccogliere il testimone di un impegno che deve continuare, una lotta che deve perseguire quel sogno, quella aspirazione di giustizia sempre ricercata e in primo luogo proprio dove lavoriamo.
È la testimonianza di essere figli consapevoli e padri premurosi.
Per questo ogni iscritto alla UILPA, per questo ogni lavoratore che vuole difendere i suoi diritti, i diritti dei suoi compagni, lottare per i diritti dei propri figli, per la dignità del lavoro deve interrogarsi se non sia un obbligo morale un impegno diretto sindacale, l’offrire la disponibilità a rappresentare i propri colleghi in un processo elettorale che segna il livello di democrazia della nostra società.
Roma, 15 gennaio 2015