Olivia Posani ROMA

DOPO le pensioni, i contratti del pubblico impiego. A 25 giorni dal varo della Legge di stabilità un altro tema sensibile alza la temperatura dei rapporti tra sindacati e governo e promette di occupare stabilmente il dibatitto fino a quando Renzi non avrà compiuto la sua scelta politica. Rinnovare i contratti del pubblico impiego, secondo calcoli sindacali, costa 8 miliardi nel triennio, circa 2 miliardi per il solo 2015. Cifra pesantissima, visto il momento economico, che può essere reperita solo tagliando da un’altra parte. Ecco perché spetta al premier dettare le priorità. Che il pubblico impiego possa vedersi bloccare lo stipendio per il sesto anno consecutivo non sarebbe una novità, anzi. 
Il Documento di economia e finanza (Def) approvato ad aprile prevede due punti sul tema: la riduzione dello 0,7% della spesa legata ai redditi per il 2014, con una stabilizzazione fino al 2017, e la ‘vacanza contrattuale’ per il triennio 2018-2020. Si tratta dell’indennità che viene corrisposta ai lavoratori senza rinnovo contrattuale per proteggerli almeno dall’effetto dell’inflazione sulle retribuzioni. Il Def scatenò l’ira sindacale, ma il ministero dell’Economia smentì l’ipotesi di blocco fino al 2020 e Marianna Madia, titolare della Funzione pubblica, promise che avrebbe trovato le risorse. Un’impresa titanica che ha portato a far circolare nuovamente l’ipotesi del blocco.
IMMEDIATA la reazione dei segretari generali del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil, che chiedono a Renzi e alla Madia di chiarire «immediatamente che non c’è nessuna ipotesi di ulteriore blocco della contrattazione. In assenza di ciò — assicurano Dettori, Faverin e Torluccio — la reazione dei lavoratori sarà fortissima». Di più: «La stagione riformatrice che Renzi e Madia stanno prefigurando diventerebbe epocale per lo scontro che la misura aprirebbe». 
L’ultimo rinnovo contrattuale risale al 2009, quando i sindacati strapparono 65 euro contro i 120 previsti. Dal 2010 ad oggi i mancati aumenti hanno comportato un taglio del 10,5%. In soldoni si tratta di una perdita di oltre 4mila euro a testa per gli impiegati ministeriali e di 21mila per i dirigenti. «Se il Governo deciderà di prolungare il blocco degli stipendi — avvisa il Codacons — sarà inevitabile il ricorso al Tar».