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Oggi più che mai è nostro dovere affermare con forza e chiarezza un principio cardine del nostro essere sindacato confederale: il contratto collettivo di lavoro è lo strumento più potente di difesa della dignità, dei diritti e del futuro delle lavoratrici e dei lavoratori. È attraverso la contrattazione, quella vera, quella sottoscritta da chi rappresenta realmente uomini e donne nei luoghi di lavoro, che possiamo rendere concreto l’articolo 36 della nostra Costituzione: dare a ciascuno una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa.

Le retribuzioni non sono semplici numeri: rappresentano il valore che la società assegna alle lavoratrici e i lavoratori pubblici. Dietro ogni cifra c’è la vita reale di uomini e donne che ogni giorno costruiscono il futuro del Paese. E quando si parla di contratto, bisogna guardare non solo a quanto si prende oggi, ma anche a quanto si cresce domani.

Lo stanziamento di 10,855 miliardi di euro per il pubblico impiego nel triennio di cui 1,755 miliardi per il solo 2025 da cui partire per costruire un rinnovo contrattuale non possiamo considerarlo sufficiente a determinare il valore assoluto della dignità descritta. È solo il punto di partenza a cui si devono aggiungere risorse e il rafforzamento dell’Indennità di Vacanza Contrattuale (IVC), che rappresenta comunque un riconoscimento per chi da troppo tempo attende un adeguamento salariale proporzionato all’inflazione e all’impegno richiesto.

A chi fa riferimento all’esperienza del rinnovo contrattuale 2016–2018 diciamo che non può essere utilizzata come scusa per accettare un contratto debole anche oggi. Al contrario: proprio quella stagione di rinnovo, firmata dopo otto anni di blocco, con aumenti irrisori (85 euro medi lordi) e senza reali avanzamenti di carriera, dimostra quanto fosse e quanto sia ancora necessario cambiare passo.

Non si può oggi rivendicare coerenza nel riproporre aumenti insufficienti come se fossero una conquista. L’inflazione del triennio 2022–2024 ha eroso il potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici di oltre 17 punti percentuali. I 165 euro medi proposti per il triennio 2022–2024 non bastano. Sono un inizio, ma non la risposta che serve.

Chi dimentica la lezione di ieri, commette due volte lo stesso errore: nel 2016-2018 si firmò perché si usciva da un blocco salariale che aveva impoverito tutto il comparto. Ma ora, con i conti pubblici più stabili e con una pubblica amministrazione che fatica a trattenere e attrarre personale qualificato, non possiamo permetterci un contratto al ribasso.

Parliamo chiaro: nelle Funzioni Centrali mancano oltre 35mila unità di personale rispetto al fabbisogno stimato (fonte: Corte dei Conti e dati Funzione Pubblica). Nei ministeri, l’età media ha superato i 54 anni, e nei prossimi cinque anni quasi un terzo degli attuali dipendenti andrà in pensione. Il rinnovo contrattuale non può limitarsi all’adeguamento tabellare. Serve un piano straordinario di assunzioni, accompagnato da investimenti nella formazione e nella valorizzazione professionale.

Noi della UIL lo diciamo chiaramente: serve una vera riforma del sistema retributivo.

Chi oggi invoca la responsabilità sindacale deve farlo ricordando che il sindacato non può essere né subalterno né accondiscendente. La UIL non cambia linea a seconda del colore dei governi: noi stiamo dalla parte dei lavoratori, sempre, e non usiamo le relazioni sindacali per fare opposizione o per coprire l’inerzia.

Non possiamo esimerci dal richiamare il Ministro Zangrillo alle sue responsabilità. Non può limitarsi a fare analisi da osservatore esterno. È da oltre due anni che guida il Ministero della Pubblica Amministrazione: oggi dovrebbe essere lui il primo a presentare soluzioni concrete, non a constatare l’ovvio come se sedesse tra i banchi dell’opposizione.

Da qui al 2032 andranno in pensione oltre 40mila dipendenti. Ma se non si costruisce oggi un sistema capace di attrarre, formare, assumere e trattenere nuove professionalità, questa non sarà un’opportunità. Sarà un disastro annunciato.

Le nuove generazioni non si accontentano? È vero. Ma non perché siano “choosy”, come qualcuno ancora si ostina a dire. È perché non trovano nella P.A. uno stipendio dignitoso, un piano di carriera serio, un ambiente che valorizzi le competenze.

Fin dall’inizio del confronto per il rinnovo del contratto, la Uilpa ha posto con forza e chiarezza una priorità: aumenti salariali veri, dignitosi, strutturali. Non si tratta di rivendicazioni astratte, ma di una richiesta fondata su numeri, su dati, sulla realtà concreta vissuta da milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici che, con salari fermi e carichi di lavoro crescenti, stanno tenendo in piedi l’intera macchina dello Stato.

Lo diciamo da mesi, senza ambiguità: senza risorse adeguate, la trattativa non ha senso. Serve un contratto che non solo recuperi il potere d’acquisto eroso dall’inflazione, ma che riconosca finalmente il valore strategico del lavoro pubblico.

Lo diciamo al Ministero della Giustizia, dove da troppo tempo si attende un segnale politico chiaro dal Ministro Nordio, che non può più ignorare la necessità di:

  • sbloccare definitivamente la contrattazione integrativa, ferma al palo;
  • attuare concretamente il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento professionale, rimasto finora lettera morta;
  • riconoscere anche nel comparto giustizia il valore delle professionalità interne, da troppo tempo relegate a ruoli marginali nonostante le competenze.

Ma lo diciamo con altrettanta forza per l’intero comparto delle Funzioni Centrali, dove è indispensabile accelerare il negoziato con un investimento economico reale, che consenta:

  • aumenti retributivi non inferiori ai 250 euro medi mensili;
  • un sistema stabile di progressioni economiche e di carriera, oggi frammentato e insufficiente;
  • il pieno superamento dei vincoli imposti dalla Legge Madia, che continuano a penalizzare le retribuzioni accessorie.
  • Non si può continuare a parlare di una Pubblica Amministrazione attrattiva se poi non si mettono le risorse e gli strumenti normativi per renderla tale.

Come Uilpa lo diciamo con chiarezza: servono atti concreti, non buoni propositi. I lavoratori pubblici meritano rispetto, e il rispetto passa anche da una contrattazione vera, libera, pienamente finanziata.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 24 giugno 2025