L'Italia ha resistito meglio alla crisi economica perché la finanza non ha vinto sull'economia reale. Ma gli italiani ''sono sempre gli stessi'', siamo una società replicante che vive in apnea. Assistiamo al ritorno degli interessi agiti in presa diretta e al tempo stesso alla dura ristrutturazione del terziario e al silenzioso sfarinamento del lungo ciclo dell'individualismo'.
Il 43esimo Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, fotografa lo stato d'animo degli italiani ad un anno dall'inizio della crisi economica.
Per l'istituto quel 'non saremo mai più come prima' che un anno fa dominava la psicologia collettiva sembra essersi mutato in un 'siamo sempre gli stessi' che ci appiattisce alla contingenza, ma non ci deprime''. La crisi economica che ha squassato la finanza internazionale, e poi la struttura economica e occupazionale dei maggiori Paesi del globo - si legge nel rapporto - ci si aspettava portasse un uragano di problemi sulla 'fragile' e poco competitiva economia italiana. E invece è avvenuto che il modello su cui silenziosamente si incardina la nostra società ha ancora una volta funzionato, replicando se stesso - spiega il Censis - Abbiamo infatti resistito alla crisi perché non abbiamo esasperato il primato della finanza sull'economia reale, perché il settore bancario ha mantenuto un forte aggancio al territorio, perché il sistema economico è caratterizzato da una diffusissima e molecolare presenza di piccole aziende''.
E inoltre perché abbiamo un mercato del lavoro per metà molto elastico e al tempo stesso molto protetto, perché imprese e lavoro sono da sempre fortemente protetti dalla patrimonializzazione delle famiglie e anche perché tutti i soggetti della società vivono quotidianamente integrati al territorio, alla sua coesione sociale e alla responsabilità delle sue amministrazioni.
Se abbiamo passato senza troppi danni questi ultimi anni lo dobbiamo senza dubbio all'intrecciarsi quotidiano di queste componenti socioeconomiche, come del resto ammettono tutti gli osservatori, anche quelli che per anni le hanno ritenute regressive sul piano della modernità del sistema. E non è stata una reazione casuale o improvvisata, ma un ricorrente riflesso condizionato - continua il Censis- Abbiamo cioè messo in campo un comportamento adattativo-reattivo che funziona da tempo e che avevamo visto già all'opera nella crisi drammatica del 2001 e poi nel superamento della esasperazione del declinismo e dell'impoverimento''.
Il Censis, però, avverte la presunzione che il peggio sia passato, e si possa ricominciare ad andare avanti senza nulla cambiare, si scontra con alcune precise constatazioni: ''la finanza italiana, nel suo piccolo, non ha del tutto smaltito quella dimensione tossica che negli ultimi mesi l'ha messa spesso in difficoltà; l'ansia per la chiusura dei bilanci a breve (anno 2009 e prima trimestrale 2010) porta troppi operatori a continuare, o sperare di continuare, quel far soldi a mezzo di soldi che induce una sopravalutazione delle dinamiche finanziarie e speculative; la stessa economia reale, pur considerata un baluardo nella crisi dell'ultimo anno, vive un periodo di grande incertezza, specialmente quella più esposta alle turbolenze dei mercati internazionali''.
Il 2012 è stato un anno tutto in salita per larga parte delle famiglie italiane e la stagnazione perdurante dei consumi ne è l'indicatore più evidente. D'altra parte, per una vasta maggioranza non vi sono stati tagli sostanziali, ma progressivi aggiustamenti: questo, ad esempio, è il comportamento emerso dal 74% di un campione di 500 individui. Nel restante 26% gli aggiustamenti sono consistiti nel ridimensionamento della spesa presso bar e ristoranti, o nel rinunciare a qualche spesa extra. In altri casi si è intensificato un comportamento già molto diffuso, fondato su un effetto ''sostituzione'', ovvero di rimpiazzo di prodotti più noti con marchi meno noti, di solito salvaguardando la buona qualità di ciò che si acquista; soprattutto si va intensificando il ricorso ai discount.
I problemi economici inoltre scoraggiano le donne italiane a fare figli. Una volta avuto il primo bebè, mediamente in età relativamente avanzata, molte madri non ne fanno altri pur desiderandoli: circa un terzo di esse cita a questo proposito motivi economici (20,6%) e di lavoro (9,5%).
Infine, dal rapporto emerge anche il problema lavoro. Nell'anno in cui la crisi economica ha di fatto rallentato il sistema produttivo del nostro Paese, il tempo di non lavoro tende a dilatarsi. Del calo sostenuto degli ordinativi, delle esportazioni e degli investimenti il mondo del lavoro ne ha risentito non solo in termini occupazionali, ma anche nella dimensione del tempo complessivamente dedicato alle prestazioni lavorative.
Fonte: http://www.adnkronos.com/ 30-11-2012